14 Febbraio 2020
I fatti
La vicenda trae origine nel 1991, data in cui un credito vantato dalla società Alfa nei confronti della società Beta veniva sottoposto a sequestro conservativo in favore della società Gamma, con la conseguente impossibilità per la debitrice di adempiere la propria obbligazione.
Nel 1993, la società Alfa otteneva dal Tribunale la dichiarazione di inefficacia del predetto sequestro disposto a favore di Gamma, con conseguente liberazione del credito vantato nei confronti di Beta. Tale liberazione, tuttavia, non veniva comunicata in nessuna forma alla debitrice fino al 2005, data in cui la stessa Beta – dopo aver ricevuto copia del dispositivo della sentenza di revoca del sequestro conservativo – provvedeva a saldare il debito, versando ad Alfa la somma dovuta per la sorte capitale dell’originario credito.
Nel 2009, tuttavia, Alfa, medio tempore fallita, proponeva un ricorso per decreto ingiuntivo, affermando che il pagamento ricevuto da Beta nel 2005 fosse stato imputato agli interessi, ex art. 1194 cod. civ., (nel frattempo diventati pari al capitale), e che, pertanto, la stessa Beta fosse ancora debitrice nei suoi confronti per l’intera somma capitale. Tale impostazione veniva accolta dal Tribunale e successivamente confermata dalla Corte d’Appello.
La decisione della Suprema Corte
Secondo la Suprema Corte, in totale accoglimento dei motivi di ricorso e riformando i principi di diritto dei precedenti gradi di giudizio, su Alfa gravava un obbligo di informazione nei confronti di Beta, da configurarsi nella necessità di provvedere alla comunicazione dell’avvenuta dichiarazione di inefficacia del sequestro conservativo e della conseguente rinnovata esigibilità del credito vantato.
Senza tale comunicazione, Beta – essendo estranea al giudizio di revoca del sequestro conservativo – non poteva sapere che il suo debito era tornato ad essere liquido ed esigibile e, conseguentemente, continuava a trovarsi nell’impossibilità di adempiere alla sua obbligazione.
A giudizio della Suprema Corte, la mancata comunicazione di revoca del sequestro conservativo integra un’ipotesi di mora del creditore ex art. 1206 cod. civ.: nel caso di specie, infatti, Alfa non avrebbe dovuto limitarsi ad attendere il pagamento delle somme dovute, ma – in ossequio all’obbligo di compiere “quanto è necessario affinché il debitore possa adempiere l’obbligazione” (art. 1026 cod. civ.) e del principio generale di buona fede, secondo cui “il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza” (art. 1175 cod. civ.) – avrebbe dovuto attivarsi per portare a conoscenza di Beta la rinnovata esigibilità del credito.
Ai sensi del successivo art. 1207 cod. civ., secondo il quale la mora del creditore comporta la non esigibilità degli interessi sulle somme vantate, la Corte di Cassazione ha accolto pertanto il ricorso della debitrice, dichiarando non dovuti gli interessi vantati da Alfa asseritamente maturati nel periodo intercorrente tra la liberazione delle somme sottoposte a sequestro conservativo e la comunicazione effettuata a Beta nel 2005.
Così statuendo la Suprema Corte ha quindi negato la ricostruzione dei precedenti gradi di giudizio le cui decisioni si assestavano sulla naturale ed automatica maturazione degli interessi ex art. 1282 c.c., dal momento dell’esigibilità del credito, senza che fosse necessaria alcuna indagine sulla colpevolezza del ritardo e, quindi, a prescindere dalla conoscenza che il debitore originario avesse avuto della rinnovata esigibilità del credito.
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