14 Maggio 2020
Molti erano i dubbi interpretativi, sollevati dagli operatori del diritto all’indomani dell’emanazione da parte del Legislatore delegato del d.lgs. n. 5 del 2003, circa la validità o meno delle clausole compromissorie, aventi ad oggetto la devoluzione all’arbitrato societario delle controversie in materia societaria, inserite negli statuti delle società semplici.
Poche sono state, tuttavia, sul punto, le pronunce da parte dei Giudici di merito (Vedasi Trib. Roma, 4 luglio 2007, n. 13731, Il Sole 24 Ore, Mass. Repertorio Lex24. La Sentenza è stata ulteriormente massimata e pubblicata in: Ipsoa, Le Società, 2008, 6, pg. 762 e Giuffré, Giurisprudenza Commerciale, 2008, 7-8, pg. 900, pt. II; nonché Trib. Bologna, 21 marzo 2008, n. 719, reperibile per esteso sulla banca dati de Il Sole 24 Ore Plusplus24 Diritto), mentre, almeno a quanto consta, non si rinvengono ad oggi precedenti emessi dalla Suprema Corte di Cassazione.
Segna, dunque, un’importante novità la recente pubblicazione da parte della Corte d’Appello di Torino della sentenza con la quale i Giudici della Prima Sezione Civile della Corte distrettuale hanno scelto di imboccare la via dell’interpretazione più restrittiva della norma in esame.
Il caso
La fattispecie sottoposta allo scrutinio del Collegio giudicante vedeva contrapposti, da una parte i soci deliberanti l’esclusione e, dall’altra, i soci esclusi da una società semplice, nel cui statuto si prevedeva una clausola compromissoria del seguente tenore letterale:
Le parti convengono che tutte le controversie che dovessero insorgere tra i soci, o tra i soci e la società, aventi ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale, nonché tutte le controversie nei confronti di amministratori e liquidatori o tra questi o da essi promosse, ivi comprese quelle relative alla validità delle modificazioni o aventi ad oggetto la qualità di socio siano esperite mediante il tentativo di conciliazione di cui al D. Lgs. 4 marzo 2010 n. 28 e successive modificazioni e integrazioni; in caso di esito negativo le parti convengono che dette controversie siano devolute ad arbitrato secondo il Regolamento della Camera Arbitrale del Piemonte nel rispetto della disciplina prevista dagli articoli 34, 35 e 36 D. Lgs. 17 gennaio 2003 numero 5. L’arbitrato si svolgerà secondo la procedura di arbitrato ordinario o di arbitrato rapido in conformità con il suddetto regolamento.
Tuttavia, i soci esclusi ne eccepivano la nullità, in base alla tesi secondo cui l’arbitrato societario disciplinato dagli artt. 34 e segg. del d.lgs. n. 5/2003, ed al quale tutti i soci avevano fatto espresso riferimento, non sarebbe stato applicabile alle società semplici.
La decisione
Il decreto legislativo n. 5/2003 (Dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), all’art. 34, rubricato Oggetto ed effetti di clausole compromissorie statutarie, stabilisce che gli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’articolo 2325-bis del codice civile, possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale.
Ebbene, il primo comma del citato articolo, parrebbe consentire il ricorso all’arbitrato libero a “tutte”le società, con esclusione soltanto “di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325-bis del codice civile”: tuttavia la legge delega (art. 12, terzo comma, della legge n. 366/2001 – Delega al governo per la riforma del diritto societario) prevede testualmente quanto segue: “Il Governo può altresì prevedere la possibilità che gli statuti delle società commerciali contengano clausole compromissorie, anche in deroga agli articoli 806 e 808 del codice di procedura civile, per tutte o alcune tra le controversie societarie di cui al comma 1. Nel caso che la controversia concerna questioni che non possono formare oggetto di transazione, la clausola compromissoria dovrà riferirsi ad un arbitrato secondo diritto, restando escluso il giudizio di equità, ed il lodo sarà impugnabile anche per violazione di legge”.
Risultano, quindi, chiari i confini entro i quali il Legislatore delegato avrebbe potuto e dovuto legiferare in tema di arbitrato societario, confini entro cui evidentemente non possono rientrare le società semplici, non potendo svolgere queste ultime, per definizione, “attività commerciale”.
Prendendo, quindi, le mosse da tali premesse, la Corte d’Appello di Torino ha pronunciato il seguente principio di diritto:
“Siccome, tuttavia, il legislatore delegato, nel disciplinare l’arbitrato societario, non menziona espressamente le società semplici, sembra preferibile dare all’art. 34, primo comma, del d.lgs. n. 5/2003 un’interpretazione restrittiva che sia in linea con la legge delega, ritenendo cioè che possano prevedere in statuto l’arbitrato societario soltanto le società commerciali e non anche – oltre alle società che fanno ricorso al capitale di rischio – le società semplici e le altre società di persone che non svolgono attività commerciale“.
Di qui la declaratoria di nullità della clausola oggetto di decisione.
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